Di storie relative a futuri post-apocalittici, nel corso degli anni, ne abbiamo viste tantissime. E questo tanto nel mondo dell’editoria, tra fumetti e libri, quanto in quello multimediale, tra film e serie tv. Come dimenticare, giusto per citare un esempio illustre, “The Walking Dead”, il franchise transmediale che ha fatto la storia nel suo genere di riferimento.
Con premesse molto semplici – e per questo molto vicine a situazioni che ci hanno toccati da vicino – parte "Dirt", serie curata da Giulio Rincione e pubblicata da Tunuè. Siamo nel futuro prossimo, nel 2040, con la terra che è stata vessata da un virus che ha sterminato quasi tutta la popolazione. Sono in pochi a essere sopravvissuti, e non tutti dotati di buone intenzioni. Tra questi troviamo Dirt, un cartone animato “vivente” che, negli anni ’50 del '900, era testimonial dell’omonimo brand di sigarette.
La fama è ormai storia passata e il presente è scandito solo da un’interminabile attesa dell’”oscura signora” che cali su di lui la falce eterna. Ma qualcosa cambia le carte in tavola per Dirt. Siamo andati dietro le quinte di questa serie, che conta già due diversi volumi – “Dirt: I Figli di Edin” e “Dirt: Skeentopolis”. Con l’autore che ci ha svelato alcuni interessanti retroscena della lavorazione, tra le diverse citazioni della real life sotto mentite spoglie.
DIRT, LA PAROLA A GIULIO RINCIONE
Giulio, quella di Dirt è una storia molto particolare, che mescola le esagerazioni cartoon con elementi di vita quotidiana. “Tratto da una storia (quasi) vera”, potremmo dire… Com’è nata questa serie?
“La serie nasce da diversi input, sia grafici che narrativi. Avevo l'esigenza e la voglia di raccontare una storia che parlasse di intrattenimento, che facesse da "specchio esagerato" per denunciare l'estremo consumismo veloce dei giorni nostri proprio nei confronti di contenuti di intrattenimento. Volevo parlare della nostra società che mette al primo e unico posto la popolarità e i guadagni, tralasciando l'eventuale qualità delle cose. Poi c'era la pandemia.
Era un'occasione troppo ghiotta per me, che sono sempre stato un amante del genere post-apocalittico, per non utilizzarla nel contesto. Infine i cartoni animati. Loro è un po' come se rappresentassero "l'artista" la voglia che ognuno di noi ha di essere visto e apprezzato. Ovviamente sempre riflesso in questo "specchio esagerato". Sono un amante dei film che uniscono il mezzo di animazione con la recitazione, quindi nella mia testa avevo voglia di realizzare un nuovo Roger Rabbit, decisamente più cupo, crudo, adulto.”
È evidente dalla narrazione l’ispirazione che arriva dai fatti che hanno segnato la contemporaneità, negli scorsi anni. Sul fronte dei personaggi hai dei modelli di riferimento?
“Tutti i personaggi della serie sono "ispirati" a persone o personalità esistenti. Questo per un duplice motivo. Il primo, il più banale, è creare una forma di soddisfazione nel lettore, che riconosce elementi e personaggi a lui già noti, facendolo sentire più "a casa" in un mondo completamente estraneo. La seconda, decisamente più importante, è per la varietà narrativa. Avere dei modelli esistenti che ispirano i tuoi personaggi, ti permette di renderli sempre più "tondi" e profondi, di dare loro delle voci e delle personalità uniche, che non possono essere confuse tra loro. Ogni personaggio (anche non protagonista) deve lasciare intendere al lettore che ha un suo passato, una sua storia, un suo obiettivo.”